lunedì 31 dicembre 2012

DIARIO DI UNA FUORISEDE – capitolo otto: le pulizie –


Le pulizie per uno studente fuorisede rappresentano il momento in cui il suo spirito di sopravvivenza in condizioni di sporco estremo viene meno e si arrende al ragionevole uso della scopa e del mocio. La polvere che si raccoglie nella casa è presente in quantità esorbitanti: strati grigio-bianchi ricoprono tutte le superfici possibili, così che quando si appoggia una mano si può osservare un perfetto calco stile “scavi di Pompei”. Lo sporco che si raccoglie sul pavimento della cucina è eterno: per tutte le volte che lo si spazza restano ugualmente macchie il cui colore varia dal nero al marrone le quali lo rendono simile al manto di una mucca pezzata (più volte lo studente si ripromette di denunciare per truffa Mastrolindo). Sul tavolo, ad ogni ora del giorno e della notte, è possibile trovare briciole di pane e rimasugli del pranzo che, accumulati giorno dopo giorno, potrebbero sfamare tutto il corno d’Africa.  La cenere delle sigarette è più abbondante nella casa dello studente fuorisede piuttosto che sull’Etna. Camminando per l’appartamento è possibile imbattersi in lunghi gomitoli di non-so-cosa che, quando si aprono le porte, spinti dall’aria cominciano a muoversi come se fossero animati: molte volte sono scambiati per criceti; lo studente comincia a inseguirli, ma questi sono molto veloci e in un battibaleno finiscono sotto il letto. Il coraggioso studente sfida ogni granulo di polvere sul pavimento e si sdraia per terra, allunga una mano e incontra qualcosa di soffice: sotto il letto vi è una colonia di criceti polverosi che neanche Swiffer e le agenti segrete della Vileda potrebbero sconfiggere. Il bagno degli studenti fuorisede è radioattivo: il calcare intorno alle fontane ostruisce il passaggio dell’acqua e ci si accorge di ciò solo quando, dopo aver aperto l’acqua, il getto non colpisce il lavandino, ma, potente come un idrante dei pompieri, bagna l’ignaro studente. Raramente si pulisce la doccia:  si è convinti che si lavi anch’essa con il bagnoschiuma, shampoo e balsamo. Inutile quasi menzionare i vetri: essi sono talmente sporchi che anche una splendida giornata di sole potrebbe essere scambiata per un giorno nuvoloso e di pioggia. Sul pavimento è consueto ritrovare un tappeto finemente intessuto di capelli e, data la loro mole, si è convinti quasi che lo studente che abita l’appartamento sia pelato. La completa disinfestazione della casa avviene quando le madri degli studenti si presentano sulla porta di casa armate di guanti, scopa e secchio, preoccupate che il proprio pargolo possa contrarre il tetano o altro genere di malattia infettiva: spesso però, appena la madre termina il suo turno supplementare delle pulizie, l’anarchia dei granelli di polvere prende il sopravvento. (Alessia Martoccia)

DIARIO DI UNA FUORISEDE - capitolo sette: il frigo –


Il frigo di uno studente fuorisede è lo specchio della sua anima: si possono capire molte cose solo osservandone il contenuto. Non è difficile trovarci dentro i sughi Barilla già pronti da usare nelle occasioni in cui si invitano a cena gli amici: poco prima che arrivino si riversa tutto il preparato in una pentola e si corre a buttare il boccaccio nella spazzatura e alla domanda “ma è un sugo già pronto?” si risponde indignati “ma ti pare che lo compro già pronto? L’ho preparato con le mie mani”. Nel frigo si osservano prodotti in duplice copia frutto delle promozioni del Conad, come ad esempio due confezioni di burro, due di galbanino, due di Philadelphia, e spesso una delle due scade prima di essere arrivati a metà della prima. Lo scompartimento delle verdure non è conosciuto dai più e quando capita l’occasione, seppur rara, di aprirlo si scoprono carote che hanno piantato le radici e tuberi di cui non è più possibile riconoscere la specie di appartenenza. Alberga su un ripiano del frigo un cumulo esagerato di carne che per le quantità potrebbe benissimo appartenere ad un Brontosauro. Sull’anta del frigo, rigorosamente al posto delle uova, spesso si osserva la metà di un limone che invecchia ogni giorno di più, ma non lo si tocca, lo si rispetta come se fosse una sacra reliquia. A volte capita di aprire il frigo e di essere investiti da un odore acre e che provoca quasi lo svenimento: alcune volte è la cipolla, il cui odore esce nonostante sia stata ricoperta più volte con la stagnola e  la pellicola, altre volte la fonte di tale puzza rimane oscura e lo studente si limita a richiudere il frigo. Nel freezer degli studenti è conservata la loro ricchezza e fonte di gaudio: i cibi preparati dalla mamma e che provengono direttamente dalla terra d’origine. Tali prelibatezze hanno un’importanza straordinaria per lo studente che le venera come fossero divinità, e quando finiscono è una tragedia: lo studente è capace di organizzare un viaggio di ritorno a casa per rifornire il freezer. Tuttavia questo è da considerarsi il periodo delle “vacche grasse” del frigo, quando tutti i prodotti si accumulano gli uni sugli altri; con il passare dei giorni  subisce una metamorfosi, entrando così nel periodo delle “vacche magre”: il frigo si svuota, rimangono solo le macchie del succo o del caffè (che lo studente ignora e non pulisce) ed è possibile perfino percepire l’eco,ecoo,ecooo. (Alessia Martoccia)

DIARIO DI UNA FUORISEDE –capitolo sei: la lavatrice


Nell’armadio di uno studente fuorisede è consueto ritrovare una pila di panni color rosa Barbie, frutto di una malefica distrazione nella preparazione della lavatrice. Questo è un elettrodomestico con il quale lo studente instaura un rapporto di amore&odio fin da subito, talvolta subentra anche la paura, specie durante la centrifuga, quando si è convinti che sia un essere animato e in grado di schiacciarti .  Non si sa per quale mistico motivo la prima cosa che lo studente chiede al padrone di casa  è se vi è appunto la “bella lavanderina automatica”.  Appurata la sua presenza i primi lavaggi  si effettuano con l’aiuto della mamma al telefono, la quale spiega da bravo Sapientino il significato di tutti quegli strani simboli colorati, delle manopole e dei bottoni, e che a distanza riesce a quantificare il sapone da versare in proporzione ai panni. Per i primi tempi, grazie al tutor-telefonico, i lavaggi vanno piuttosto bene, si riesce per fino ad entrare nella logica razzista secondo cui i bianchi vanno tenuti separati sia dai neri sia dai colorati. Con il passare del tempo la lavatrice diventa la migliore amica dello studente:è sempre attiva, la si può sentire quando si è ancora nel portone; si è convinti di poterla incontrare in giro per la casa quando è in centrifuga dato che salta più di Andrew Howe. Lo studente la usa per lavare un singolo paio di calzini, una sola camicetta, il famoso pigiama di flanella, a tutte le ore del giorno e della notte incurante degli avvertimenti del coinquilino riguardo al suo consumo, finchè non arriva la bolletta. Solo dopo aver chiesto un mutuo per pagare  il conto salato come le acciughe lo studente comincia a sfidare la sorte mettendo più panni contemporaneamente a lavare: ogni lavaggio è accompagnato da preghiere rivolte all’Omino Bianco affinchè ogni colore rimanga tale, e ogni maglia non diventi “dimensione portachiavi” ; l’ansia dura per tutto il tempo dello sciacquo,risciacquo e centrifuga,  e talvolta lo studente rimane ipnotizzato davanti all’oblò cercando di tenere d’occhio la maglietta preferita. Una sera lo studente raccoglie dal cesto dei panni sporchi tutti i capi bianchi, lenzuola, canottiere, calzini, slip, camicie e camice e regola il lavaggio a 60 gradi. Sul fondo del cesto rimangono dei calzini rossi sbiaditi: perché lasciarli lì da soli? perché tutta questa cattiveria? Cosa potranno mai fare? La sorpresa si ha quando dalla lavatrice spunta un guardaroba uguale  a quello di Barbie: ecco cosa si rischia a voler essere il Nelson Mandela dei calzini. (Alessia Martoccia)

DIARIO DI UNA FUORISEDE -capitolo cinque: il viaggio verso casa


Terminata la sessione d’esami invernale alcuni esemplari di studenti, ormai liberi come degli ex detenuti di Rebibbia, decidono di tornare in famiglia per qualche giorno per essere ben rifocillati  e coccolati dalle amorevoli cure materne. Mentre lo studente si avvicina alla fermata dell’autobus non immagina cosa lo attende per le prossime ore… Osserva gli orari dell’autobus su un vecchio e ingiallito foglio di carta su cui il prezzo del biglietto è scritto ancora il lire. Attende solo pochi minuti quando all’orizzonte compare il bus, allora lo studente si alza e tende già il braccio per fermarlo ma a causa della sue forte miopia nota la scritta”FUORI SERVIZIO” solo quando manca poco alla perdita completa del suo arto. Trenta minuti più tardi lo studente si trova stipato nell’autobus tra il consueto Puzzone e la Nonnina che per tenere stretta la borsa “ si dimentica “ di aggrapparsi alle maniglie. Dopo aver rischiato più volte la vita sua e quella della nonna agli incroci, lo studente giunge alla stazione dove prenotare un biglietto del treno è più difficile dell’ordinare un piatto giapponese, in giapponese. Il tabellone degli orari è più pieno del solito perché vi sono parecchi ritardi, ma lo studente è fortunato(o almeno crede di esserlo): il suo treno ha solo 30 minuti di ritardo contro i 120 di un altro. Salito sul treno non riesce a raggiungere il suo posto(pagato) perché rimane bloccato da una coppietta di turisti in inter-rail e i loro zaini a doppio fondo, da una serie infinita di passeggini Chicco e da una colonia di pinguini in pellegrinaggio a Pompei armate di Bibbia e rosario. Lo studente dopo circa due ore trascorse all’in piedi, quando ormai ha perso ogni sensibilità nelle dita dei piedi( provato dopo che la carovana di passeggini vi è passata sopra), scende per effettuare il cambio di treno: ha circa 2 minuti per individuarlo sul tabellone, correre al binario e salirci sopra. Lo studente si dimena, corre all’impazzata, viene ingiuriato da tutte le forme di vita che incontra al suo passaggio e poi… e poi il treno ancora non è arrivato. In realtà non è un treno quello che lo aspetta, bensì una littorina con le panche di legno che va ad una velocità inferiore a quella alla quale potrei andare io, a piedi, e che effettua 15 fermate in stazioni dimenticate dall’ uomo e da dio: Cristo non si è fermato ad Eboli, è tornato pure indietro.

sabato 29 dicembre 2012

DIARIO DI UNA FUORISEDE -capitolo quattro: La fine è vicina-



Sfatiamo un mito: la notte prima dell’esame non esiste, l’ha inventata Venditti per vendere più dischi.  Trascorri l’ultima notte prima dell’esame girovagando per la casa, ingurgiti un barile di camomilla e fai la spola tra il letto, il bagno e la scrivania. Giustamente prendi sonno solo verso le cinque e mezza per poi essere svegliata dal cellulare  poco più tardi. Dopo circa due mesi di clausura forzata indossare un paio di jeans al posto del pigiama diventa davvero traumatico, per non parlare poi dell’opera di restauro che deve subire il tuo viso… Giunta in aula con due ore di anticipo scopri quasi di essere in ritardo e inizi a maledire la camomilla della sera prima che comincia ad avere effetto tanto da farti sembrare un procione in letargo. Decine di ragazzi ripetono parlando in un lingua a te sconosciuta, ogni tanto percepisci una parola e allora provi ad inserirti anche tu nell’affannoso discorso cercando di convincerti che qualcosa la sai, poi incroci gli sguardi di chi sembra stare peggio di te e questo ti da la forza per non andartene.  La seduta d’esame comincia: tre professori interrogano tre ragazzi in un’ora e mezza,così chè il trentesimo nell’ordine di prenotazione calcola che entro la fine dell’anno potrebbe farcela, Maya permettendo. È una strage,  fanno più vittime di una guerra civile con la loro penna BIC,poi scuotono la testa e mormorano qualcosa del tipo:”non le voglio mettere un voto basso, quindi torni la prossima volta” mentre nella mente dell’interrogato si rinnegano tutti gli anni di catechismo. Dal posto ti sembra di aver studiato i fumetti di Topolino per lunghi mesi considerando che non hai mai sentito parlare della metà delle cose che chiedono mentre l’altra metà è …puff… scomparsa come Harry Potter e la polvere magica. Si avvicina il tuo turno e il cervello sventola bandiera bianca, una gamba si muove e l’altra è paralizzata così chè devi trascinarla alla cattedra. Guardi il prof con intensità cercando di prevedere la prima domanda,  lui di contro ricambia, ti osserva, sghignazza e poi …  e poi il resto è storia. (Alessia Martoccia)

DIARIO DI UNA FUORISEDE –capitolo tre: le cene -


Una fuori sede sotto esame riduce al minimo le sue relazioni con altri individui. Poche sono le occasioni in cui incontra i suoi simili e spesso è la fame la ragione che lo spinge fuori dalla sua tana; prospettive di tavole ben apparecchiate e piatti di pasta diversi da quelli con il tonno o il pesto lo guidano fuori dal suo nascondiglio.  Giunto presso la dimora altrui, visi emaciati e pallidi, pigiami avvolti nei plaid, Crocs e  Defonseca lo accolgono. La serata procede con un sottofondo di sospiri; alcuni commensali elencano sconsolati i capitoli che ancora non sono riusciti a studiare, altri, i più fortunati, affermano che ancora manca il “ripassone” , altri ancora dicono che sono privi del “quadro generale”(io fingendo di comprenderli cerco di ricordare a mente in quale capitolo si trovi tale Quadro Generale… )  Al simposio partecipa sempre chi sventola la bandiera dell’ignoranza e poi prende 3x10, chi sta shallo e progetta il viaggio “d-istruzione” post-esami, e chi a pochi giorni dall’esame,dopo aver letto le domande dell’appello precedente, comincia a pensare di aver studiato per mesi una materia completamente diversa. Durante la cena è ricorrente la frase:”Mi interroghi?” e poi tra un boccone e l’altro le domande vengono lanciate alla sprovvista con il rischio di provocare un duplice infarto: segue il silenzio, sguardi terrorizzati si accavallano, tutti si fermano, si sente solo il rumore delle posate che cadono dalle mani e dopo qualche attimo una mandria di studenti impazziti corre in camera a prendere il libro per cercare la risposta. Al termine della serata, quando ormai si sono perse anche le ultime certezze sul programma d’esame, si comincia ad augurare la morte di tutti i lupi dei boschi -così che Edoardo Stoppa e il WWF li dichiarano entro marzo specie in via d’estinzione- e si spera che tutte le balene diventino stitiche. Spesso però la balena è diarroica. (Alessia.Martoccia)   

DIARIO DI UNA FUORISEDE –capitolo due:la stanza-



La stanza di una fuori sede è il miglior esempio per spiegare il concetto di entropia: tutto lì dentro è soggetto al moto browniano delle particelle. Il letto assomiglia ad un giaciglio improvvisato: le migliaia di coperte che lo compongono, per la maggior parte della giornata,non hanno un verso esatto e formano nell’insieme una montagna che potrebbe essere scambiata da Sgarbi per un’opera di arte contemporanea ; i cuscini- comodi e soffici come se fossero riempiti di truciolato- spesso si trovano ai piedi del letto mescolati con la tuta che indossi nelle occasioni speciali(quando viene il tecnico della caldaia o il ragazzo che consegna la pizza). La scrivania sorregge  circa una tonnellata di libri che per tutto il periodo d’esami formano un baldacchino sulla tua testa, e devi fare attenzione: la caduta del Lehninger potrebbe formare un cratere nel suolo. Le matite e le penne sono così numerose che se fossero denaro potremmo essere tutti miliardari, alcune te le ritrovi per terra, e te ne accorgi quando ormai ti sei infilzato un piede, altre invece sono tra i capelli perché non hai tempo per arrivare in bagno a prendere un elastico. La libreria diventa una credenza: accumuli tazze e bicchieri finchè le coinquiline non vengono espressamente a richiedertele minacciando di rubarti gli appunti.  Le pareti, una volta vuote e tristi, sotto esame si riempiono di fogli con le date degli esami che lampeggiano evidenziate in fucsia, lo schema della glicolisi ti osserva di fianco e la struttura della vitamina K pare un fac-simile della stele di Rosetta. Il pavimento, per lo spesso strato di polvere, da bianco diventa grigio e attutisce ogni rumore così che potresti non accorgerti di un ladro entrato per rubarti i riassunti, perché diciamolo, sotto esame TOGLIETEMI TUTTO MA NON LE DISPENSE DEL PROF! La spazzatura sembra un vulcano in eruzione di carta, e perfino sugli scontrini disegni L-glucosio.  E poi l’aria che aleggia nei 5metri quadrati ha ormai lo stesso profumo del Fumagalli.  (Alessia Martoccia)

DIARIO DI UNA FUORISEDE -capitolo 1-

Ti svegli contro ogni legge della logica alle 7 di mattina, prepari il caffè pensando alla sintesi della caffeina e alle sue proprietà organiche. Non pensi neanche lontanamente di spogliarti di quella tenuta di flanella da donna obbligata agli arresti domiciliari e così strisci riluttante verso la scrivania alla quale rimarrai inchiodata per tutta la giornata. Verso le 13 un rumore assordante proveniente dallo stomaco ti ricorda che hai ancora pochi minuti di autonomia prima del tuo svenimento e che forse è meglio spostarsi in cucina..con i libri ovviamente. Apri il frigo e realizzi che il deserto del Sahara ha più vita del tuo ripiano, osservi che l’insalata è in stato avanzato di decomposizione e non ti sorprenderebbe vedere Fleming bussare alla tua porta. Cucini un riso precotto e lo mangi crudo;nell’attesa vai su facebook e lo richiudi subito sconsolata osservando le notifiche che riguardano solo il gruppo della facoltà. Torni a leggere i libri( non è rigorosamente inclusa l’attività della “comprensione”) per le successive 7-8 ore( nel frattempo divori una busta di biscotti, guardi Uomini&Donne e decidi che da grande diventerai AngelaFavolosaCubista, fai altri due caffè e svuoti una bottiglia di tè). Arriva la cena, ip ip urrà, e assumi proteine solo sotto forma di kebab mentre guardi il Jersey shore, accompagnate da acqua del rubinetto(non hai avuto tempo per andare al Parcogiochi-Conad,). Poi ti ricordi che hai più panni accumulati nel bagno e sullo stendino chè nell’armadio, ma non fa niente, l’importante è non finire la scorta dei pigiami. Se sei coraggiosa torni sulla morbida sedia di legno compensato e nel giro di qualche nanosecondo ti addormenti: il giorno dopo non perdi neanche tempo a strisciare fuori dal letto (Alessia Martoccia)