Quasi ogni giorno lo studente deve confrontarsi con quegli
individui che dicono di appartenere alla sua medesima specie ma che in realtà
sono frutto di un ibrido incrocio tra Rita Levi Montalcini e Lapo Elkan. Tali
suddetti soggetti sono quelli capaci di abbattere la già fragile autostima
dello studente in un nano secondo e con poche parole. Di giorno essi appaiono
sempre freschi e riposati nonostante siano reduci da una mega festa in pieno
centro e abbiano solo poche ore di sonno alle spalle, mentre tu, sempre se
riesci a svegliarti, assomigli alla bambina dell’esorcista nonostante sia
andata a dormire dopo “Striscia la Notizia”. Durante le ore di lezione essi
sono sempre quelli che rispondono alle domande del professore, quelli che
riempiono decine di pagine di appunti o quelli che non hanno bisogno di
prendere appunti perché “gli basta ascoltare”, mentre tu stai ancora cercando
il tuo nome sul foglio delle firme. Loro sono capaci di ricordare quello che il
prof ha spiegato il primo giorno di lezione del semestre dell’anno precedente
mentre tu non ricordi come ti chiami, ecco il vero motivo per il quale cerchi
ancora il tuo nome sull’elenco. Quando finalmente lo trovi, dopo aver chiesto
l’aiuto del pubblico e di quello da casa, ti senti pronto per cominciare ad
impugnare la penna e prendere appunti: alla pausa ti rendi conto di aver
ricoperto il foglio di coniglietti e fiorellini (quando ti senti più ispirato)
o di aver riempito i quadratini del quaderno in modo alterno formando così un
quadro d’arte moderna con la strana capacità di ipnotizzarti e costringerti a
continuare finchè, nella foga del disegno, non sbatti con la testa sul banco.
Le pause sono il momento in cui la tua autostima è messa a dura prova: non sai
quale parte del tuo sub inconscio masochista ti porta a dire “ a che punto stai
con il programma?”; nel momento stesso in cui pronunci tale frase te ne penti,
e ti affliggi ancora di più quando vedi che loro fanno un respiro e prendono
abbastanza aria per cominciare a fare l’elenco degli argomenti che hanno già
letto, capito, compreso e ripetuto! Allora tu cerchi di riconquistare un po’ di
fiducia in te stesso e chiedi ”ma studi già da un po’?”, ma quando vedi che la
loro testa si gira un po’ a destra cominciano a venirti i crampi allo stomaco,
e quando poi si gira a sinistra vorresti piegarti in due dal dolore: ogni “no”
che fanno con la testa è come uno schiaffo in pieno viso, e quando aprono bocca
per dire “macchè, ho cominciato l’altra sera” tu vorresti morire. Il destino si
prende ancora più gioco di te quando scopri che loro posseggono la mitologica e
leggendaria “memoria fotografica”(ebbene
sì, esiste, puoi cancellarla dalla lista che contiene i Puffi e Big Foot): cioè
gli basta leggere una volta un argomento per ricordarlo fin nell’uso della
punteggiatura, mentre tu alle elementari hai impiegato un mese per imparare
l’alfabeto e ancora non hai finito le tabelline, perchè ti sei fermato a
7x8=49..no…63…a sì, 56 (santa Calco la Trice).
Quando ormai è percepibile anche a loro il suicidio della tua autostima,
in fretta cambiano argomento e cominciano a raccontarti della folle festa del
primo maggio alla quale hanno partecipato, di quanto si sono divertiti a
cantare da ubriachi le canzoni di Mannarino, mentre tu pensi che mentre loro se
la stavano spassando beatamente tu eri costipata nel sedile di un autobus, con
la faccia appiccicata al vetro e il classico ciccione che mangia pane e cipolla
per tutto il viaggio perché non sei riuscita a trovare un posto per partire il
giorno prima. Non ti resta allora che maledire Paolo Fox (ti riprometti inoltre
anche di querelarlo) e cominci ad inveire contro i tuoi genitori che ti hanno
concepito nel periodo sbagliato dell’anno. (Alessia Martoccia)
mercoledì 2 gennaio 2013
DIARIO DI UNA FUORISEDE -capitolo undici: i buoni propositi-
All' inizio di ogni anno accademico lo studente
fuori sede parte animato da tanti propositi che agli occhi suoi e della
comunità che lo circonda, risultano essere tanto buoni da meritare il premio
Nobel. Prima ancora di andare a comprare i libri, lo studente si da' alla
caccia della palestra perfetta con il desiderio di poter sviluppare tutti i muscoli che osserva sul Netter e che gli
provocano tanta invidia: così paga 390€ di abbonamento annuale che nel giro di
due settimane cercherà di rivendere a qualche malcapitato amico. Le studentesse
invece decidono di darsi alla piscina sperando di poter far colpo sulla squadra
di palla a nuoto quando escono tutte bagnate dalla doccia,stile -pubblicità-profumi-d'Oriente, e invece
finiscono per accumulare i costumi nel reparto biancheria e usano il borsone
come ennesima valigia, alla faccia di Carpisa. Lo studente fuori sede
ripromette a se stesso di ampliare il proprio giro di amicizie, di conoscere
più gente "vera" lontano dal gruppo della facoltà su FB, decide di
frequentare di più la copisteria e il bar davanti l'università, con la scusa
del caffè: peró dopo una settimana di tachicardia e slides in triplice copia lo
studente torna a casa e si iscrive anche su Twitter, Myspace e Instagram. Le
studentesse, al ritorno dall'estate, giurano a se stesse di prendersi più cura
di sè: si iscrivono a Groupon alla ricerca di pacchetti benessere a base di
massaggi cioccolatosi, cerette al miele, manicure allo zucchero; verso maggio,
quando la temperatura sfiora già i trenta gradi, le si incontra vestite con
pantaloni lunghi, maglioni, guanti, sciarpa e cappello perchè non hanno avuto
tempo, in un anno, di andare dall'estetista( o perchè quest'ultima si è
rifiutata di operare la tosatura). I maschi non sono esentati da tale tipo di
situazione: per mesi interi vagano nella facoltà come dei Barboni e solo quando
si rendono conto che alla loro barba è possibile fare delle treccine stile
Snoop-Doggy-Dog, decidono di tagliarla; la loro tolettatura è accompagnata dal
mormorio delle ragazze quando li vedono entrare in aula: "ma chi è?, Mi
ricorda qualcuno, Ha dei lineamenti familiari, Mi fa impressione". Lo
studente fuori sede ogni anno giura di dover trovare il tempo di andare a
trovare il vecchio compagno di classe che abita dall'altra parte della città,
promette a più persone quel fantomatico caffè che non arriverà mai, e come un
abile politico dispensa promesse che non ha alcuna intenzione di mantenere:
però non lo fa per cattiveria, è la mancanza di tempo la vera causa, perchè per
lo studente dopo le otto di mattina arrivano subito le dieci, dopo le dodici
arrivano le sedici, e dopo le ventuno arrivano le otto del giorno dopo. Lo
studente fuori sede abita in una dimensione parallela a quella degli altri
comuni mortali: il tempo scorre velocemente, gli unici esseri viventi sono
degli ibridi con i libri sotto il braccio, peli superflui, pallidi e con gli
occhi cerchiati di nero a mo' di panda ... Si crede che essi siano frutto di
una sperimentazione scientifica condotta dai cinesi e il WWF. (Alessia Martoccia)
DIARIO DI UNA FUORISEDE –capitolo dieci: le bollette-
Per uno studente fuori sede l’arrivo delle bollette da
pagare è un evento doloroso e funesto. La maggior parte delle volte si evita di
guardare la cassetta della posta per ritardare il più possibile la visione di
quelle buste bianche finchè non si accumulano e il postino decide di
consegnarle di persona. L’apertura della missiva avviene con uno stato d’animo
paragonabile a quello di Harry Potter davanti alla lettera d’ammissione ad
Hogwarts: l’ansia e la paura si alternano alla speranza che il conto sia meno
caro di quello precedente. E poi eccola là la cifra, scritta in grassetto e in
caratteri più grandi, che spicca tra tutte le altre scritte; allo studente sembra quasi che il foglio
scotti e per questo motivo lo ripone in fretta: è meglio indire una riunione
per annunciare il tragico evento. All’ora di pranzo gli umori sono malinconici,
così si cerca insieme di tradurre e dare un significato logico a tutte quelle Imposte,
Tax 1, Quota, Aliquota, Accisa, Iva,Condoglianze; con la calcolatrice si cerca
di sommare qualche numero ma la cifra ottenuta è sempre la metà di quella che
tocca pagare. All’Eni non si comanda: lo
studente allunga la mano al portafoglio e, come Lucia di fronte ai monti,
intona il suo addio: addio abbonamento alla palestra, addio kebab, addio
cinema! Dopo aver fatto la colletta e raccolto centinaia di euro nelle buste
Cuki-gelo, si fa la conta per decidere chi deve affrontare la lunga fila alle
poste che sembra una succursale del reparto di geriatria. Dopo il salasso
monetario tutti i coinquilini a cena sono fermi e decisi a diminuire i consumi:
si stabilisce di ridurre il numero di lavatrici e di comprare candele. Ma si
sa, ad ogni cena c’è un Giuda: bisogna solo capire chi sarà il primo che farà
la lavatrice per tre calzini alle dieci di mattina, quando il costo è triplicato
rispetto alla sera. Dopo qualche giorno dal drammatico avvenimento la scena si
ripete con la bolletta dell’acqua e della luce: gli studenti decidono allora di
sfidare le pulci e i pidocchi e di lavarsi con la Ferrarelle e al buio. (Alessia Martoccia)
DIARIO DI UNA FUORISEDE – capitolo nove: gli appelli straordinari –
Capita a tutti di essere bocciati ad un esame, però,
ammettiamolo, la percentuale che venga rimandato uno appartenente alla specie
delle “secchie” è davvero piccola se la confrontiamo con quella dei
normo-dotati come te, che si sentono dire dal professore: ” ma perché non torna
la prossima volta? Così prende un voto più alto” oppure “mi dispiace, non ci
siamo”; a questo punto l’unica speranza che anima lo studente sono gli appelli
di Pasqua. Il primo giorno del secondo semestre cominciano a girare dei fogli nell’aula
segretamente, lo studente firma compulsivamente senza neanche leggere di che
esame si tratta: l’importante è fare numero! I rappresentanti hanno il compito
di inviare la missiva ai professori e questo è un ruolo arduo e difficile: i
prof sono persone introvabili al di fuori delle ore di lezione tanto che si comincia
a credere che essi siano degli ologrammi; alcuni di loro lasciano perfino il
proprio numero di telefono per “emergenze” ma alla fine si scopre che il numero
è inesistente; l’ultima chance è attendere una risposta alla mail inviata
settimane prima. E poi eccola lì, nella cartella Inbox, ricevuta alle 02.45 di
mattina, senza oggetto, allora il rappresentante la apre con il cuore in gola e
poi…e poi la risposta è “Sì”. Ma sì cosa? Con il passare dei giorni iniziano le
trattative tra gli studenti e i professori, la battaglia è dura e pericolosa
perché non bisogna inimicarsi la controparte, così le parole da usare sono
soppesate con cura, ed è tutto un susseguirsi di “per piacere”, “cortesemente”,
“se Lei gradisce”, “La ringrazio”, “sì Badrone”. Finalmente il prof, stanco di
essere vittima di stalking da parte degli alunni, si arrende e concede
l’appello per il giovedì prima di Pasqua, peccato però che lo si ottenga la
domenica delle Palme. Lo studente, dal canto suo, ha vissuto questo periodo di
attesa come se si trovasse nel Limbo perchè si chiede dalla mattina alla sera:
“studio, non studio, cosa studio”; poi torna sui suoi passi e riprende il
vecchio libro in mano. Ogni pagina è una coltellata in pieno petto, un conato
di vomito da trattenere, la nausea è troppa e aumenta ad ogni argomento da
ripetere. Anche i migliori arrivano ad implorare un 18 politico da portare a
casa perché l’importante è allontanarsi e dimenticare in fretta la materia. Le
notti trascorrono agitate e popolate da incubi: si arriva a sognare perfino la
vecchia e arpia prof del liceo che ti
interroga su argomenti sconosciuti. Il giorno fatidico dell’esame, mentre vede
i suoi colleghi più fortunati che si avviano spensieratamente verso la stazione,
lo studente cammina verso l’università come se stesse andando al patibolo,
sperando che il boia-prof faccia in fretta e senza troppo dolore. L’esame
comincia, ormai ogni argomento è una amara cantilena recitata a memoria, più
brutta e insensata delle tre civette sul comò,
e quando l’interrogato percepisce che il prof è ben disposto a non
bocciarlo la felicità prende il sopravvento, e si vuole solo scappare e andare
a bruciare gli appunti fregandosene del voto. Si arriva di corsa a casa e si
chiamano a riunione i coinquilini per farli assistere alla cerimonia della
“posa del libro” negli scaffali, ma eccone un altro là, nuovo, lucido, ancora
incellofanato, che ti guarda, ti sfida. (Alessia Martoccia)
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