mercoledì 2 gennaio 2013

DIARIO DI UNA FUORISEDE – capitolo nove: gli appelli straordinari –


Capita a tutti di essere bocciati ad un esame, però, ammettiamolo, la percentuale che venga rimandato uno appartenente alla specie delle “secchie” è davvero piccola se la confrontiamo con quella dei normo-dotati come te, che si sentono dire dal professore: ” ma perché non torna la prossima volta? Così prende un voto più alto” oppure “mi dispiace, non ci siamo”; a questo punto l’unica speranza che anima lo studente sono gli appelli di Pasqua. Il primo giorno del secondo semestre cominciano a girare dei fogli nell’aula segretamente, lo studente firma compulsivamente senza neanche leggere di che esame si tratta: l’importante è fare numero! I rappresentanti hanno il compito di inviare la missiva ai professori e questo è un ruolo arduo e difficile: i prof sono persone introvabili al di fuori delle ore di lezione tanto che si comincia a credere che essi siano degli ologrammi; alcuni di loro lasciano perfino il proprio numero di telefono per “emergenze” ma alla fine si scopre che il numero è inesistente; l’ultima chance è attendere una risposta alla mail inviata settimane prima. E poi eccola lì, nella cartella Inbox, ricevuta alle 02.45 di mattina, senza oggetto, allora il rappresentante la apre con il cuore in gola e poi…e poi la risposta è “Sì”. Ma sì cosa? Con il passare dei giorni iniziano le trattative tra gli studenti e i professori, la battaglia è dura e pericolosa perché non bisogna inimicarsi la controparte, così le parole da usare sono soppesate con cura, ed è tutto un susseguirsi di “per piacere”, “cortesemente”, “se Lei gradisce”, “La ringrazio”, “sì Badrone”. Finalmente il prof, stanco di essere vittima di stalking da parte degli alunni, si arrende e concede l’appello per il giovedì prima di Pasqua, peccato però che lo si ottenga la domenica delle Palme. Lo studente, dal canto suo, ha vissuto questo periodo di attesa come se si trovasse nel Limbo perchè si chiede dalla mattina alla sera: “studio, non studio, cosa studio”; poi torna sui suoi passi e riprende il vecchio libro in mano. Ogni pagina è una coltellata in pieno petto, un conato di vomito da trattenere, la nausea è troppa e aumenta ad ogni argomento da ripetere. Anche i migliori arrivano ad implorare un 18 politico da portare a casa perché l’importante è allontanarsi e dimenticare in fretta la materia. Le notti trascorrono agitate e popolate da incubi: si arriva a sognare perfino la vecchia e arpia prof  del liceo che ti interroga su argomenti sconosciuti. Il giorno fatidico dell’esame, mentre vede i suoi colleghi più fortunati che si avviano spensieratamente verso la stazione, lo studente cammina verso l’università come se stesse andando al patibolo, sperando che il boia-prof faccia in fretta e senza troppo dolore. L’esame comincia, ormai ogni argomento è una amara cantilena recitata a memoria, più brutta e insensata delle tre civette sul comò,  e quando l’interrogato percepisce che il prof è ben disposto a non bocciarlo la felicità prende il sopravvento, e si vuole solo scappare e andare a bruciare gli appunti fregandosene del voto. Si arriva di corsa a casa e si chiamano a riunione i coinquilini per farli assistere alla cerimonia della “posa del libro” negli scaffali, ma eccone un altro là, nuovo, lucido, ancora incellofanato, che ti guarda, ti sfida. (Alessia Martoccia)

Nessun commento:

Posta un commento